Della Catania tardo medievale e rinascimentale il
visitatore, come l'abitante, può solo farsi un'idea. Il doppio
evento naturale che distrusse la città alla fine del XVII secolo
(l'eruzione del 1669 e il terremoto nel 1693) ne ha lasciato ben
poche tracce.
A questi danni, gli storici aggiungono la perdita dell'Archivio
comunale, distrutto nel dicembre 1944 nell'incendio del palazzo
degli Elefanti durante i moti separatisti.
Eppure è in questi quattro secoli che si registra una crescita e
un’espansione della città tale da giustificare, dopo il terremoto,
la decisione di ricostruirla sullo stesso luogo.
La sua struttura politica fu sempre determinata dall'immenso potere,
anche economico, della Curia vescovile: un equilibrio teso fra il
polo del potere ecclesiastico e quello delle autorità laiche.
Decisivo fu per Catania il rapporto con la Casa di Aragona.
Qui nel 1295 si svolse il colloquium generale dei nobili e
delle città demaniali che proclamò Re di Sicilia
Federico III d'Aragona.
L'Università (Siciliae Studium Generale) venne
fondata nel 1434 sotto Alfonso il Magnanimo e
godette a lungo il privilegio di essere la prima e l'unica della
Sicilia.
Centro commerciale importante per lo smistamento di merci, l'area
catanese conserva anche tracce della presenza di mercanti genovesi,
pisani, catalani.
Questa spiega l'esistenza di una chiesa dedicata alla Madonna di
Monserrato: distrutta dalla lava del 1669 venne riedificata nel sito
attuale dove diede poi nome ad uno dei quartieri moderni.
Nel corso del Quattrocento, la città conosce un'espansione che è
anche quella di una élite che va progressivamente occupando tutte le
funzioni pubbliche e le prebende sia ecclesiastiche che civili. La
più importante famiglia di tale patriziato è quella
dei Paternò, e ad essa si affiancano le famiglie
feudali.
Le più importanti cariche comunali erano il Capitano di
giustizia, il Patrizio, e i sei
membri del consiglio chiamati senatori.
Nel 1412 i cittadini avevano ottenuto lo scrutinio cioè il diritto
di eleggere i senatori.
Nel 1435 Alfonso il Magnanimo concesse alle maestranze che i loro
consoli potessero intervenire in Consiglio, concessione ritirata
qualche anno dopo.
Tuttavia, nel corso del Quattrocento, poco più di una dozzina di
famiglie riuscì a raccogliere al proprio interno il più gran numero
di designazioni.
La sconfitta della parte popolare segna l'adeguarsi di Catania al
sistema politico spagnolo: ma la città mantiene un carattere più
borghese e produce pensatori politici originali come i giuristi
Blasco Lanza (1466-1535) e Mario Cutelli
(1584-1654).
Si diceva che a Catania li gentilhomini per la maiuri parti
su mercanti e massari. Di questo genere è la carriera di
Battista Platamone, proveniente da una famiglia che
al commercio aveva affiancato la gestione di cariche pubbliche.
Battista si laureò in diritto a Padova; dal 1420 occupò diverse
cariche di natura fiscale e amministrativa, accumulò titoli di
nobiltà e feudi, giungendo ad essere viceré per qualche mese nel
1440-41. Era in grado di prestare danaro alla Corona; fu tra i
promotori dell'Università. Il rapporto di Catania col suo patriziato
e con la sua feudalità è anche il rapporto con la sua campagna,
vasto entroterra agricolo ricco di risorse.
Nel Cinquecento, Catania risente, come il resto dell'isola, della
complessiva riorganizzazione dello spazio mediterraneo. Ferdinando
il Cattolico, insieme con Isabella di Castiglia, riunificando la
Spagna, aveva posto le premesse che faranno del suo erede Carlo V
l'imperatore sulle cui terre non tramonta mai il sole. Poiché, dopo
la caduta di Costantinopoli (1454) un analogo processo di sviluppo e
centralizzazione si è svolto ad oriente con l'impero turco, la
Sicilia si trova ora ad essere frontiera tra un Islam e una
Cristianità in stato di guerra.
Il commercio mediterraneo, di cui Catania era uno dei centri,
patisce insieme la chiusura del mercato africano, e il ruolo
egemonico della Spagna (la produzione di zucchero siciliano, per
esempio, viene condannata a morte dall'impianto delle piantagioni
prima nelle Canarie e poi in America).
Per Catania, il segno tangibile della mutata situazione sta nel
rafforzamento e nella definitiva chiusura della cinta delle mura
(nei decenni 1540-1560). Questa determinerà lo svolgimento urbano,
fin oltre il terremoto del 1693. La città non poteva restare immune
dal travaglio religioso del secolo. Nel 1494, come in tutto il regno
di Ferdinando il Cattolico, si ebbe l'espulsione o la conversione
forzata degli ebrei anche a Catania; la comunità ebraica vi era
particolarmente forte e numerosa. Sono forse ebrei convertiti i
portatori di opinioni luterane, non meglio definibili, come lo
sfortunato Giovan Battista Rizzo, linciato dalla folla nel 1513
perché, sembra, aveva compiuto un gesto sacrilego in Cattedrale
contro l'Ostia consacrata. In rapporto col mutato clima religioso,
si definisce meglio il culto della patrona,
Sant'Agata, con importanti conseguenze sul patrimonio
artistico.
Nel Quattrocento si riedifica la chiesa del Santo Carcere
(dove nel 1588 verrà posta la splendida Tavola del martirio
dipinta dal greco Bernardinus Niger). Nel 1563 venne rifatto il
fercolo o vara per la processione
del reliquario artistico in argento e pietre preziose che contiene
il corpo della Santa. Si consolidò il rito del portare
in processione il velo di Sant'Agata - popolarmente chiamato
Grimpia - come strumento estremo per fermare la lava. Altre
manifestazioni di religiosità popolare, fervente e fastosa, si
ebbero però anche in omaggio al Sacro Chiodo della Croce,
posseduto dai Benedettini: questo negli anni 1540 venne prestato ai
Siracusani come protezione contro i terremoti, e pressantemente
richiesto indietro sotto lo stimolo della paura per i movimenti
dell'Etna.
Alle soglie del Seicento, la contesa fra Catania e Palermo in merito
alla reale patria di Sant'Agata scatenò un'ondata di municipalismo.
La contesa coinvolse i dotti, il clero e il popolo, ed è stata
ripresa più volte, anche in giorni a noi vicini. Al sostegno della
fede popolare si deve anche la costruzione di chiese e istituzioni
religiose, prima fra tutte il convento di S.M. dell'Indirizzo.
Non riuscì però a pieno la riforma religiosa imposta dal Concilio di
Trento. Il suo protagonista catanese, Nicola Maria
Caracciolo (vescovo dal 1537 al 1567) sciolse il legame tra
la funzione del vescovo e la carica di abate di S. Agata, e migliorò
l'educazione del clero. Non gli riuscì però di dividere in
parrocchie il territorio ecclesiastico catanese secondo i dettami
del Concilio.
Fino quasi ai nostri giorni a Catania il vescovo fu anche l'unico
parroco titolare dell'intera città, delegando in varie forme
l’amministrazione dei sacramenti. In quei tempi, era una maniera di
mantenere indivise le pingui rendite istituite dai Normanni, che
attraverso i membri del Capitolo della Cattedrale erano appannaggio
delle famiglie patrizie. Nel Cinquecento Catania conobbe comunque
una fervida attività edilizia e contatti con la cultura italiana,
testimoniati da quanto ci è rimasto di pitture e sculture
sopravvissute in vari edifici.
Un evento rilevante fu il trasferimento in città del monastero
benedettino di San Nicolò l'Arena la cui fondazione
originaria era nell'area di Nicolosi. Divenuto uno dei più
importanti proprietari fondiari della zona, il monastero abbandonò
l'antico luogo eremitico per le difficoltà create dal clima e dalle
eruzioni dell'Etna. Il trasferimento (1578) ne moltiplicò e ne
sottolineò la potenza e il prestigio.
Nel secolo successivo, invece, la città sembra non trovare più
un'immagine dinamica di se stessa. Di fronte a Palermo, divenuta
ormai capitale amministrativa e sede privilegiata della grande
nobiltà, poco conta la parificazione (1622) del Senato catanese a
quelli di Palermo e di Messina. Carestie e pestilenze segnano la
crescente impotenza amministrativa del regime spagnolo.
Politicamente, anche Catania è lacerata dai tumulti popolari che
corrispondono a crisi più generali come la rivoluzione del 1647, e
la rivolta di Messina del 1674-78.
La cultura della città sembra adeguarsi al livello più basso della
devozione popolare, col suo frequentissimo ricorso alla speranza del
miracolo: il velo di Sant'Agata verrà portato in
processione contro la peste nel 1592 e ancora nel 1624; fermerà la
lava dell'Etna nel 1536, nel 1579, nel 1636 verso Pedara, ancora a
Bronte nel 1654. L'eruzione del 1669 inferse però a Catania un colpo
gravissimo. Distrutti migliaia di ettari di terreno coltivato, la
lava investì l'abitato da nord e da ovest, cancellando il sistema
difensivo delle mura, circondò il Castello Ursino allontanandolo dal
mare e seppellendone fossato e bastioni. Presto si diede mano ai
lavori di ricostruzione.
Sulle lave venne tracciata la nuova via della Vittoria, o del
Gallazzo (oggi via Plebiscito) per collegare le porte a sud e a
nord, e per permettere il circuito della processione di Sant'Agata.
Si assegnarono le aree della Consolazione e del Borgo ai profughi
dei casali che avevano invaso Catania. Una nuova catena di fortini
venne approntata dal principe di Ligne. Gli anni che seguirono
furono però funestati dalla guerra, che il conflitto militare con i
francesi, innescato dalla rivolta di Messina, aveva portato anche
sul territorio catanese.
La sciagura peggiore doveva ancora venire: la notte dell'11
gennaio del 1693, gran parte della Sicilia sud-orientale
veniva distrutta da un potente terremoto. Molti
centri abitati furono rasi al suolo, molti perdettero tra il 30 e il
70 per cento della popolazione. Di Catania non rimasero in piedi che
poche cose: il Castello, le absidi della Cattedrale, qualche
porzione delle mura, la cappella dei Paternò. Il numero delle
vittime si contò tra 12 e 16 mila, su una popolazione di 18 o 20
mila anime.
Se per la Sicilia l'epoca del dominio spagnolo si chiudeva con un
bilancio di stanchezza e di crisi, per Catania era la tragica
alternativa fra scomparire per sempre o ricominciare tutto da capo.